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Terre Madri: L'Uruguay e l'acqua

Una vittoria popolare nella battaglia per l'acqua

In Uruguay l'accesso all'acqua è un diritto umano fondamentale. Grazie a un plebiscito popolare, votato da 1.440.006 elettori pari al 65%, la sua Costituzione ha incorporato questo diritto e frenato le privatizzazioni. Lo Stato sarà l'unico a poter gestire le risorse idriche e avrà il dovere di permetterne l'uso a tutti i suoi cittadini. La partecipazione civica locale e decentralizzata dovrà vigilarne lo sfruttamento, così da preservare l'acqua per le generazioni future. La Repubblica Orientale dell'Uruguay diventa così il primo paese al mondo in cui è stata bloccata la mercificazione di questo bene vitale. Un esempio per gli altri Stati, gli Organismi internazionali e gli attivisti impegnati in tutto il pianeta.
 

Adriana Marquisio

Intervista con Adriana Marquisio, rappresentante della CNDAV (Comisiòn Nacional en Defensa del Agua y de la Vida) - vicepresidente del FFOSE del PIT-CNT (Federazione di Funzionari di Opere Sanitarie dello Stato del Sindacato unico nazionale) e coordinatrice della segreteria nazionale per la difesa dell'acqua.


Da Montevideo - Nadia Angelucci e G. T. - Terre Madri (nadiaangelucci@libero.it)

D. Ci riassume le varie tappe della lotta in difesa del diritto di accesso all'acqua qui in Uruguay iniziando dall'esperienza della regione di Maldonado?
Adriana Marquisio (M.) - Il processo neoliberista e le privatizzazioni iniziano, nel nostro paese, negli anni '80 - '90, figlie dell'indebitamento, cresciuto principalmente nel periodo della dittatura (1973- 1985). La campagna per il discredito delle imprese pubbliche diventa incessante nel nostro paese in cui questo settore era forte e consolidato, creato a partire dallo stato laico battlista di inizio del secolo XX°. Siamo negli anni, guarda caso, della nascita dell'Organizzazione Mondiale per il Commercio e dei primi accordi doganali del Mercosur, che permettono l'ingresso di merci a basso costo, soprattutto brasiliane. Ma l'Uruguay, con la mobilitazione, inizia a difendersi: si raccolgono 700 mila firme ( su poco più di 2 milioni di votanti) per bloccare l'operazione di privatizzazione di ANTEL (impresa telefonica statale) e di tutto il sistema delle imprese pubbliche e, nel 1992, il 75% del paese dice il suo primo importante no attraverso un plebiscito popolare. I governi in carica non demordono e adottano altre tattiche tendenti ad indebolire l'OSE (impresa pubblica che gestisce le risorse idriche), ANCAP (settore energetico e idrocarburi), ANTEL, UTE (elettricità), attraverso provvedimenti amministrativi e azioni puntuali e rapide per evitare mobilitazioni e reazioni. Altre due campagne precedono quella sull'acqua, iscrivendosi all'interno del medesimo tentativo di difesa della svendita delle imprese nazionali: nel 2002 contro la privatizzazione dell'impresa telefonica (non sarà necessario votare perché il governo stralcerà dalla legge le proposte contestate) e nel 2003 a difesa di ANCAP che culminerà con l'altra vittoria, del 7 dicembre di quell'anno, con ben il 62% dei voti.
La privatizzazione del settore idrico inizia sotto la seconda presidenza di Julio Maria Sanguinetti: un provvedimento governativo del 1994 autorizza la possibilità di gestione privata dell'acqua nelle province dell'interno del paese e il dipartimento di Maldonado, il più ricco dell'Uruguay, è subito pronto per concedere ai privati l'acqua potabile. La mobilitazione da parte degli abitanti riesce a bloccare l'attuazione del provvedimento per 5 anni, raccogliendo 34.000 firme per un ricorso di incostituzionalità. In questa fase la battaglia fu locale però la resistenza fu il primo importante nucleo di opposizione alla mercificazione dell'acqua. Quando, nel 2000, entra in carica il nuovo presidente, anch'esso del Partito Colorado, Jorge Battle, il governo si attiva con rinnovata energia per far partire le concessioni. In quasi tutto il dipartimento di Maldonado, inclusa la cittadina turistica di Punta del Este, meta privilegiata dei vip sudamericani, la gestione dell'acqua viene finalmente ceduta alle multinazionali legate ad Aguas de Bilbao Vizcaia-Iberdorla-Kartera1- associatesi in Uragua. In precedenza operava già la Suez Lyonaisse des eaux-Aguas de Barcelona- con il nome Aguas de la Costa: i francesi avevano acquistano i diritti di una precedente concessione nel dipartimento (Josè Ignacio, a est del fiume Maldonado), frutto di un contratto con privati (Benencio Construcciones) che il governo aveva sottoscritto, già dal 1992, e ratificato attraverso il Parlamento che votò, a suo tempo, all'unanimità ad eccezione del solo deputato Helios Sarthou. Questo fatto dimostra come anche l'opposizione, nel 1992, non era ancora cosciente dei grossi interessi privati internazionali nei confronti della gestione dei servizi legati all'acqua. Il contratto contiene clausole totalmente favorevoli ad Aguas de la Costa, senza obblighi rilevanti e tempi di scadenza non specificati. Grazie a questo accordo la multinazionale, avendo mani completamente libere, sta applicando tariffe di canone e consumo superiori del 700% rispetto a quelle pubbliche del resto del paese, l'allacciamento costa 2.000 dollari, contro i 100 di OSE in altre zone del paese. In tutta la provincia di Maldonado solo una piccola zona rimane in mano statale, quella di Aiguà, ovviamente la più povera di risorse idriche e dove far arrivare l'acqua alle abitazioni è più costoso. Una dimostrazione, questa, di come le imprese private non possono gestire la distribuzione di una risorsa così imprescindibile come l'acqua che deve essere portata a tutta la popolazione anche se lo Stato va in perdita. L'acqua è un diritto e lo Stato ha il dovere di garantirne l'accesso a tutti i cittadini anche nell'interesse sanitario della popolazione che, altrimenti, aumenta il rischio di contrarre malattie come le epatiti, le dissenterie e il colera.

Sede della campagna per l'acqua - foto di Gianni Tarquini


D. Come si arriva all'allargamento della campagna?
M. Dopo l'entrata delle multinazionali nel dipartimento di Maldonado, nel 2001 l'obiettivo si sposta su Canelones, la seconda regione più popolata dopo Montevideo. Gli accordi-"ricatto" con l'Organizzazione Mondiale del Commercio e con il Fondo Monetario Internazionale esigevano le privatizzazioni dei servizi gestiti dallo Stato per garantire la concessione di nuovi prestiti all'Uruguay. Il Governo motivava la svendita dell'acqua con questi accordi e con l'impossibilità per lo Stato di farsi carico dell'investimento relativo ai risanamenti necessari; ma su questo punto si può portare come esempio proprio Maldonado dove, dopo anni di concessione, non è stata fatta nessuna opera di bonifica. Arrivano quindi le concessioni per Canelones, ma la reazione della gente è incredibile; a mobilitarsi sono il sindacato, professori e ricercatori universitari, inizia l'importante alleanza con gli ambientalisti di REDES-Amigos de la Tierra, i cittadini di ogni estrazione creano commissioni di zona. Si recuperano le esperienze di lotta di Maldonado e si guarda alla Bolivia, si raccoglie tutta l'informazione disponibile e si incominciano a diffondere i dati e le analisi nazionali e internazionali. Per la prima volta noi uruguaiani ci rendiamo conto di avere dentro i nostri confini una parte del secondo più grande serbatoio acquifero mondiale, il Guaranì, condiviso con Argentina, Paraguay e Brasile, esteso per 1.200.000 Km² (Portogallo, Spagna e Francia) e quasi totalmente non sfruttato. Veniamo a conoscenza che più di un miliardo di persone del pianeta ha grosse difficoltà per dissetarsi e per utilizzare l'acqua, che in Bolivia le multinazionali avevano tentato di mettere addirittura una tassa sulla pioggia che cadeva nelle case.
D. Quando e perché si decide di tentare la strada del plebiscito?
M. La maggior conoscenza della situazione ci ha fatto individuare tre grandi problemi legati all'acqua e di portata mondiale: la scarsezza, l'inquinamento e la privatizzazione. Allo stesso tempo ci ha fatto concludere che in questa fase storica il primo dei problemi da affrontare deve essere la privatizzazione che, se portata a termine, renderebbe impossibile il miglioramento degli altri nodi critici. Importante è l'esempio negativo del Cile dove le multinazionali hanno già ottenuto, addirittura attraverso la Costituzione, la gestione delle risorse d'acqua, compresi i fiumi e i bacini e la gente è quasi impossibilitata a pretenderne la gestione democratica. Proprio in considerazione dell'importanza che le grosse imprese private danno all'acqua dobbiamo continuare le lotte perché l'accesso sia garantito a tutti i cittadini e lo Stato ne sia il garante e il gestore. Inoltre dobbiamo custodire le risorse per le generazioni future attraverso il controllo decentralizzato dei bacini, con la partecipazione cittadina locale. Proprio l'analisi fatta e la risposta della gente ci portò a scegliere un livello di lotta in cui tutto l'Uruguay potesse esprimersi. Il presidente Battle sembrava fuori dalla realtà con le sue continue esternazioni in cui parlava di imminente privatizzazione di ulteriori settori riguardanti l'acqua, mentre la gente ne percepiva i rischi al di là delle posizioni politiche o ideologiche. Nel 2003 il governo presentò un progetto di legge per promuovere l'ulteriore entrata dei privati nel settore. Ci sembrò necessaria e fattibile la proposta di riforma costituzionale per inserire l'accesso all'acqua potabile come diritto umano e la gestione esclusiva dello Stato.

Manifesto elettorale


D. Perché c'è lei, una donna, a rappresentare questa battaglia?
M. Io lavoro in OSE da due decenni, iniziai all'età di 21 anni, e sono stata rappresentate sindacale di base per molto tempo. Ma vengo anche da una famiglia che da quattro generazioni, in entrambi i rami, lavora nella gestione dell'acqua pubblica, fin da quando erano gli inglesi ad occuparsene. Sono di Aguas Corrientes; il nome dice tutto. Lì c'é un impianto di potabilizzazione e io sono nata vicino al fiume Santa Lucia; mio nonno trasportava le tubature dal porto di Montevideo all'interno del paese. Ho un legame affettivo molto forte con "l'oggetto della contesa". Ripensando alla mia famiglia che lavorava con gli inglesi mi viene in mente che la nostra acqua era già in mano straniera, da quando è cominciata la colonizzazione fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando l'indebitamento dell'Europa nei nostri confronti, questo si un fatto clamoroso(!), dovuto ai grossi quantitativi di carne fornita agli eserciti alleati, ci permise di appropriarcene. Lavorando nel sindacato presi a cuore questa battaglia e quando convinsi la direttiva nazionale a coinvolgersi con tutto il suo potenziale, mi costò molto impegno, fui scelta per occuparmene a tempo pieno. Ricordo che per persuadere i rappresentanti nazionali presentavo tutti i venerdì, alla riunione di direzione, lo stesso ordine del giorno per includere l'argomento tra le priorità; ad un certo momento circolava la voce scherzosa che, per fare una cattiveria a qualcuno, gli veniva organizzata una riunione con me sul tema acqua. Ma fu grazie al sindacato - FFOSE - che potei partecipare al I° Forum sociale mondiale di Porto Alegre del 2001 e lì le esperienze internazionali mi incoraggiarono molto e mi aprirono la strada per contatti impensabili; mi resi conto che enormi interessi di portata mondiale si muovevano dietro la volontà di appropriarsi della gestione delle risorse idriche. Lo stesso anno venni eletta nella direzione nazionale del sindacato e conformammo una segreteria per la difesa dell'acqua, insieme alle altre persone già impegnate, che passai a coordinare grazie all'esperienza del lavoro fatto a Maldonado. Nel 2003 e 2004, con la raccolta delle firme e i comizi, ci siamo divisi i compiti con tutti gli aderenti al CNDAV (tra gli altri ricordiamo: FEUU - federazione studenti universitari; PIT-CNT - Sindacato unico nazionale; REDES - Amigos de la Tierra; FUCVAM - Federazione della cooperative di alloggio), in particolare con i bravissimi amici ecologisti di REDES, e mi sono ritrovata a rappresentare spesso la campagna nei confronti dei media o nei seminari.
D. Cosa ti ha spinto a prendere così a cuore la causa, oltre all'aspetto affettivo a cui hai accennato?
M. La rabbia per i continui tentativi di smantellare tutto ciò che è pubblico, in maniera ideologica e senza considerare le reali necessità della gente e la preoccupazione per le generazioni future se non proteggiamo le risorse vitali a disposizione dal modello perverso che predomina. Ho quattro figli e pensare a loro mi ha aiutato.
D. A che livello le donne si sono coinvolte nella battaglia per l'acqua?
M. Già in OSE la presenza femminile è importantissima: su 4.000 lavoratori 500 sono donne, rappresentate da una vicepresidente, una segretaria generale e una di organizzazione. Nell'impegno di FFOSE si sono coinvolte in molte. Ma più in generale devo dire che le ho scoperte più sensibili ai rischi legati alla mancanza di acqua, forse per il loro legame più forte con la vita; si sono buttate con forza nella battaglia per la sua difesa. Mi viene in mente un aneddoto riguardante una anziana, Marca, che ha dipinto tutta la sua modesta casa con i colori e i simboli legati alla campagna. Il movimento inoltre è cresciuto grazie al dialogo con la gente sui problemi concreti e i rischi reali, accettando le diversità e generando codici propri di relazione e di organizzazione.
D. Che modalità di lotta avete adottato nei momenti più difficili?
M. Fondamentale è, sempre, il coinvolgimento della gente e delle realtà della società civile; poi è importante essere preparati sul terreno giuridico e sull'argomento di cui si dibatte. A Maldonado bloccammo l'inizio della gestione privata per cinque anni grazie a un ricorso costituzionale e alla raccolta di 34.000 firme nella provincia, con l'appoggio della gente e l'impegno di gruppi come la Liga de Fomento de Manantiales. A Canelones fu creata una commissione cittadina che propose un sistema di risanamento alternativo a quello delle imprese private, così ben fatto e realizzabile senza investimenti esterni da fermare, anche in questo caso, le concessioni alle società con fini di lucro. Da tutto ciò è nato il legame con la gente e la decisione del plebiscito vittorioso con quasi il 65% dei votanti: dall'impegno di molti militanti e dall'informazione arrivata alla gente; ricordo le cinque persone che hanno percorso tutto l'Uruguay a cavallo dormendo nelle case dei contadini, da Bella Uniòn, nell'estremo nord, fino a Montevideo, i tanti maestri che hanno organizzato giornate formative nelle scuole perché i ragazzi raccontassero a casa dei rischi di vedere l'accesso all'acqua diventare una spesa notevole, la pubblicazione di ogni tipo di materiale e la sua diffusione.
D. Vi ha aiutato lo svolgimento del referendum nello stesso giorno delle votazioni politiche per la scelta del nuovo Presidente della Repubblica?
M. Se il plebiscito si fosse svolto in un'altra data avremmo avuto più voti a nostro favore; siamo stati percepiti, da alcuni elettori dei partiti tradizionali, come legati allo schieramento di sinistra anche se siamo stati appoggiati, oltre che da tutto il Frente Amplio, da un importante settore del partito Nacional (blancos). In ogni caso, tutti i candidati, anche se spesso erano sollecitati dalla gente durante i comizi, preferivano non parlare apertamente del tema per non compromettersi.

Sede redes amigos de la tierra - foto di Gianni Tarquini

D. Quali sono gli elementi chiave da tener presente nella battaglia mondiale per preservare questo bene così prezioso e permetterne l'accesso a tutti?
M. L'acqua è un affare di miliardi di dollari e le imprese interessate sanno bene cosa fare; chi vuole difenderne l'uso democratico e collettivo deve organizzarsi e non distrarsi. Inoltre bisogna proporre che la sua ricchezza sia la fonte per generare autosostegno finanziario per poterla distribuire, attraverso il principio del sussidio incrociato, combattuto, anzi odiato, dalla Banca Mondiale. Il sussidio incrociato permette la redistribuzione dell'acqua, nei territori nazionali, utilizzando le risorse delle zone più ricche per permetterne l'accesso nelle zone più povere.
Naturalmente i privati non hanno nessun interesse a tale modello e preferiscono appropriarsi delle zone ricche per lucrare il più possibile e per neutralizzarlo si oppongono alle gestioni nazionali proponendo la municipalizzazione dei servizi, come accade anche in Europa.
La lotta in difesa dell'oro azzurro ci apre anche gli occhi sul modello economico che piace alle multinazionali: i boliviani ci hanno insegnato che l'acqua è l'ultima frontiera per capire se il modello di sviluppo adottato è sostenibile o sbagliato. La sua mercificazione contraria ad ogni tradizione e l'esclusione dei più poveri dal suo utilizzo rappresentano una risposta chiara.
Dobbiamo combattere un modello che mette sullo stesso piano i diritti delle persone con gli interessi delle multinazionali, con l'assurdità che queste ultime, oggi, hanno più diritti, più forza.
D. E per coinvolgere la gente meno impegnata o meno consapevole?
M. Bisogna puntare alle cose semplici ed orizzontalizzare la comunicazione. Le informazioni che arrivano alla gente devono svegliarne l'interesse, stimolarne le preoccupazioni individuali. Poi va dato il tempo alle persone di riflettere sulle cose, magari quando sono sole o in famiglia o con gli amici. L'informazione è fondamentale, bisogna conoscere in maniera approfondita e diffondere ciò che si sa. La democrazia non può limitarsi al momento del voto, vive delle conoscenze e della partecipazione nelle scelte importanti. Se mi posso permettere rivolgerei una critica al recente Forum di Ginevra che mi sembrava peccasse di questa apertura, era un po' troppo chiuso in se stesso.
D. Come vede quest'interesse nei confronti del piccolo Uruguay, capace di essere da esempio per l'intero pianeta?
M. Non ce ne rendiamo ancora conto del tutto. Ci sembra incredibile. Abbiamo iniziato con battaglie locali e che ci riguardavano da vicino. Addirittura ci sembravano cose non interessanti nemmeno a livello nazionale. Poi la maniera arrogante con cui hanno cercato di svendere l'intero paese, forse l'esempio argentino, ci hanno portato a svolgere un ruolo nazionale e alla fine, senza accorgercene, ad avere un'eco internazionale incredibile. Non potevamo credere all'ammirazione mostrataci negli incontri internazionali, all'ultimo Forum di Porto Alegre di gennaio, al Forum di Ginevra sull'acqua. Ma ripeto, tutto è nato dall'impegno quotidiano per le battaglie locali.
D. Dopo questa vittoria quali saranno i prossimi passi della CNDAV?
M. Il nuovo governo, a solo un mese dall'entrata in carica, è intimorito dai rimborsi milionari che potrebbero richiedere le multinazionali e si sta orientando per confermare le concessioni già accordate, a meno di rescissioni motivate da inadempimenti dei termini fissati nei contratti che potrebbero riguardare solo il contratto con Uragua. Come movimento abbiamo ottenuto che in futuro sarà impossibile privatizzare altri settori riguardanti l'acqua, ma continua la lotta contro le "minacce" delle imprese ancora presenti. Non possiamo accettare la posizione attuale del nuovo governo progressista: la volontà popolare è stata chiara: deve esere lo Stato ad occuparsi della gestione delle risorse idriche così da garantirne l'accesso a tutti i cittadini. Aguas de la Costa fissa prezzi impossibili per molti uruguayani e questa è una discriminazione preoccupante. Lo stesso problema affligge anche la Bolivia e l'Argentina (qui ci sono 2.000 milioni di dollari minacciati dalle denunce delle imprese a cui era stata svenduta la gestione dell'acqua) ed è pericoloso per tutti: le multinazionali ottengono contratti così favorevoli che possono impugnare, presso istanze nazionali e internazionali, per ottenere indennizzazioni milionarie e spropositate quando gli stati tentano di far valere la propria legittima sovranità. Nel nostro caso c'è la decisione sovrana espressa con chiarezza da un popolo. Come potremmo parlare di democrazia se questa soccombesse a un contratto di un'impresa? Dobbiamo trovare la forza per andare oltre l'aspetto giuridico, con il quale potrebbero avere la meglio. Il problema è politico e anche la soluzione deve esserlo. Una sconfitta, dopo il plebiscito, sarebbe deleteria per tutto il mondo, rappresenterebbe un precedente contro la volontà democratica. Le forze al governo sono intimorite, in gran parte sono d'accordo con le nostre posizioni ma hanno bisogno del sostegno e delle pressioni popolari per evitare di rifugiarsi in un compromesso.
D. Come giudica il panorama mondiale dei movimenti sorti per rendere concreta l'aspirazione dell'accesso all'acqua come diritto umano fondamentale?
M. I Forum internazionali e gli avvenimenti in Bolivia, Argentina, Indonesia, ora in Uruguay, ma anche in molti municipi europei, hanno messo l'acqua al centro delle battaglie dei movimenti ecologisti e altermondialisti e di alcuni ricercatori. Mi sembra importante e necessario, vista la portata mondiale della partita in gioco e l'impegno già avviato da anni dalle multinazionali del settore. Forse i partiti politici e la maggioranza dei sindacati non hanno ancora capito fino in fondo quanto è necessario preservare e gestire democraticamente questo bene. Vorrei menzionare i movimenti indigeni che, dopo 5 secoli, hanno recuperato la voce e organizzano la resistenza senza risorse economiche, basandosi sulla sapienza e le tradizioni. Sono loro a proporre l'autogestione come elemento naturale. In Bolivia, ma anche in Ecuador e in tutti i paesi dove sono riusciti ad organizzarsi. Poi mi sento molto vicina alle associazioni spagnole e, soprattutto, a quelle italiane che mi sembrano le più motivate e radicate nel territorio, capaci di elaborare ma anche di mobilitare la gente.
Per quanto riguarda cambi di tipo politico vedo lo scenario latinoamericano come zona chiave, con varie esperienze, anche diverse tra di loro, e una stessa volontà popolare generalizzata di volersi liberare dal modello finora imperante e che ha provocato tanti fallimenti.

Montevideo, 1° aprile 2005

 

File disponibili per il download: Intervista con Adriana Marquisio


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